Pur essendo un aggregato di minerali molto comune in natura, e pur essendo stato utilizzato nel corso degli anni per la realizzazione di tessuti ignifughi, per la coibentazione di edifici (a partire dagli anni ottanta), come nuovo materiale da costruzione per l’edilizia, come coadiuvante nella filtrazione dei vini (sotto forma di polvere), come componente dei forni per la panificazione, etc, sfruttando la sua resistenza al fuoco, l’isolamento termico ed elettrico, la lavorabilità, la resistenza agli acidi e alla trazione, la miscelabilità ad altre sostanze, la fonoassorbenza e l’economicità, è ormai scientificamente accertato che le polveri contenenti fibre d’amianto,

 

 

respirate, possono causare gravi patologie polmonari (anche di natura tumorale). La pericolosità è comunque legata allo stato di conservazione, e si accresce quando le fibre possono disperdersi nell’ambiente circostante per effetto di qualsiasi tipo di sollecitazione meccanica, eolica, termica. Per questa ragione l’amianto friabile (che cioè si può ridurre in polvere con la semplice azione manuale) è considerato più pericoloso dell’amianto compatto.

Il brevetto di questo materiale per l’edilizia (Eternit) risale al 1901; due anni dopo inizia la produzione in scala industriale dei vari manufatti, e per tutti gli anni successivi è stato un vero dilagare di lastre, tegole, vasche e tubi realizzati in amianto.

Le prime Nazioni a usare cautele contro la natura cancerogena dell’amianto sono state Inghilterra (già dagli anni ’30) e Germania. In Italia invece si è dovuto attendere il 1992 perché siano state dichiarate fuori legge la produzione e lavorazione dell’amianto (ma non la vendita!), perché ci si occupasse dei lavoratori prevedendo una serie di benefici a fini pensionistici, e si determinassero le modalità di realizzazione della bonifica.

 

 

A proposito dei lavoratori, fondamentale è l’osservanza delle norme per l’uso di dispositivi di protezione: tuta (che deve essere intera, con cappuccio, senza tasche, chiusa ai polsi e alle caviglie con elastici e realizzata in un tessuto che non trattenga le fibre); copriscarpe o stivali di gomma; guanti da lavoro; protettori delle vie respiratorie, che possono essere a semimaschera o a maschera facciale intera, e isolanti e non isolanti (i primi permettono di utilizzare aria proveniente da una sorgente non inquinata, i secondi filtrano l’aria trattenendo gli inquinanti in essa contenuti).

Per quanto riguarda invece la bonifica, essa può realizzarsi come: rimozione (eliminazione totale dell’inquinante, che presenta però come svantaggi l’esposizione dei lavoratori a livelli elevati di rischio, la produzione di contaminanti ambientali, la produzione di alti quantitativi di rifiuti tossici, i costi, etc.); incapsulamento (trattamento con prodotti penetranti o ricoprenti, che ha nei costi e tempi contenuti, e nei rischi minori per gli addetti e l’ambiente, i suoi punti di forza, e come solo svantaggio la possibilità che l’incapsulamento si alteri o si danneggi); confinamento (che consiste nel posizionare una barriera a tenuta che divida le aree “sane” da quelle dove è collocato l’amianto, e presenta il vantaggio di costi relativamente accessibili). Ancora di più che per i lavori di costruzione e ristrutturazione edilizia, qualsiasi tipo di bonifica dall’amianto va effettuata esclusivamente da ditte e personale qualificati.

 

 

Purtroppo l’amianto lega il suo nome soprattutto alla scia di morti che ha mietuto: le zone maggiormente colpite sono Gorizia (Monfalcone) e Trieste nel nord est, Genova e La Spezia nel nord ovest, Massa e Carrara al centro, Taranto e Siracusa al sud. Fortunatamente però si è registrato il si del Senato alla legge sugli ecoreati: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo e omessa bonifica, puniti con la reclusione fino ad un massimo di 15 anni, in aggiunta ad ammende pecuniarie fino a 100 mila euro, e alla possibilità di confisca dei beni.

 

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